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Senso di Colpa sul Lavoro: Come Superarlo

Senso di colpa sul lavoro

In questi articolo ti parlo del senso di colpa, ma prima di iniziare vorrei provocarti con una domanda: Sei davvero convinta che le tue priorità siano quelle adatte a te?

Oppure alcune volte ti rendi conto che “c’è qualcosa che non va” e non ti senti perfettamente centrata e sicura di quello che stai facendo. Ma lo devi fare lo stesso…

Mi sto accorgendo sempre di più che stiamo perdendo di vista le nostre VERE priorità a discapito di un’idea che la società ci impone. O il retaggio culturale.

Senso di colpa due esempi che riguardano il lavoro

Questo articolo nasce da alcune chiacchierate durante appuntamenti molto recenti in Auraspei.

E parla di sensi di colpa verso il lavoro, argomento che ho approfondito anche nella newsletter settimanale.

Dove mi sono sentita di puntualizzare su come la giusta priorità sia spesso “travisata” da spinte esterne che muovono sul senso di colpa e l’ego personale.

Primo appuntamento

Signora di quasi 65 anni, prossima alla pensione.

È una bellissima persona, in tutti i sensi.

Appassionata del mondo del benessere e con un’ottima attitudine verso i massaggi.

I suoi famigliari le regalano ogni anno, una serie di trattamenti presso il mio centro.

Lei poi sceglie di volta in volta, cosa ricevere e cosa provare, con me o con le mie collaboratrici.

Lavora come segretaria di una dottoressa. 

Mi racconta che si sente in colpa perché quest’anno non è stata molto bene e si è dovuta assentare spesso dal lavoro.

Lasciando la titolare, a detta sua, in difficoltà perché “tu sei il braccio destro e senza di te sarei persa”.

Mi è suonato un campanello d’allarme in testa e i brividi mi sono corsi sulle braccia.

Così, la signora che avrebbe avuto bisogno di un giorno di ferie per un suo impegno personale, non lo chiede.

La motivazione  “Mi sentirei in colpa, non me la sento di lasciarla perché la metterei in difficoltà”.

Secondo appuntamento

Una giovane donna, in cerca di una maternità, lavora in un’azienda a conduzione famigliare, come capo reparto.

Fa ore su oire , perfino si occupa della spesa per la titolare quando serve. Quindi è sempre molto stanca e stressata, nonostante il lavoro le piaccia e le dia molte soddisfazioni. 

Anche lei per prendersi un’ora o una giornata di permesso, deve cadere il mondo. La motivazione “sai, mi considerano una di famiglia ormai, non me la sento di metterli in difficoltà con la mia assenza, anche se…”.

Così ha mesi di ferie arretrate e stanchezza da regalare.

Campanello nella mia testa e brividi sulle braccia.

Come superare il senso di colpa

Potrei andare avanti ancora, ma penso che tu abbia capito dove voglio andare a parare.

Ti chiedo a bruciapelo.

  • In queste due storie di vita vera, cosa stona?
  • In cosa ti ritrovi? Sono frasi che ripeti anche tu?
  • E poi, quando ti fermi, ti accorgi che qualcosa non va?

A entrambe le mie ospiti ho risposto questo, con tatto e gentilezza.

Non pensare di essere di famiglia perché non lo sei. L’azienda non è tua e, ne sono quasi certa, non lo sarà mai.

È bellissimo sentirsi dire quanto importanti siamo e che il nostro operato è inestimabile, ma credimi col cuore in mano, se non ci sei tu in qualche modo faranno lo stesso. Fai bene a prenderti a cuore il tuo lavoro, ma non esagerare.

Ascolta quali sono le tue priorità e i tuoi desideri.

Alla lunga, se rimangono inascoltati, sfogheranno in frustrazione nel miglior caso,  potrebbero sfociale in una crisi (esistenziale) nel secondo.

Mi sono scusata in anticipo: non volevo sembrare supponente, ma la stessa cosa l’ho vissuta sulla mia pelle, in aziende a conduzione famigliare. 

Del tipo “Federica è una di famiglia: il suo supporto è fondamentale”, poi quando ho scelto un’altra realtà, sono stata rimpiazzata in tempo zero.

Com’era giusto che fosse.

Identica cosa quando sono entrata in dolce attesa.

Dove ho dovuto scegliere se continuare a ricevere persone in studio oppure fermarmi.

Per un anno ho chiuso le porte di Auraspei: la gravidanza così desiderata era la mia priorità.

Il lavoro in libera professione poteva aspettare. Mi sono ascoltata. Ho messo via l’ego che mi aveva sempre detto:

io sono Auraspei e nessuno può prendere il mio posto”. 

Ho trovato, così, una cara collega, Serena, che mi ha sostituita per il tempo necessario.

Non è stato facile, assolutamente, ma ci sono riuscita a mettere da parte l’ego.

Ho calpestato il senso di colpa che mi ripeteva

non sei una brava professionista, dovresti rimanere in studio finché ce la fai, come hanno fatto altre. Altrimenti i tuoi Ospiti si dimenticheranno di te”.

Siamo tutti importanti, ma nessuno indispensabile. Questo lo so io, come lo sai tu, ma tendiamo a dimenticarlo, perché ogni tanto l’ego ci fa lo sgambetto. 

Allora, come mai, rispetto a un lavoro che non deve essere la nostra vita, ma deve essere SEMPLICEMENTE funzionale a una vita decorosa, gli lasciamo prendere così tanto spazio nel nostro personale?

Senso di colpa ed ego

Per senso di colpa ed ego. 

Non responsabilità. Il senso di responsabilità serve per dare il massimo con le nostre capacità. Stop. Non serve niente di più.

Invece il senso di colpa lavora da dentro facendoti sentire sempre “mai abbastanza”, anche quando fai fin troppo (Se vuoi approfondire questo studio Americano parla di Are there non-verbal signals of guilt? )

E l’ego? Solletica quella parte di te insicura e che cerca conferme (esterne).

Quindi, alla signora verso la pensione, che voleva regalarsi un giorno di crescita personale di gruppo al quale teneva tantissimo, e alla (spero) futura mamma, ho dato un grosso abbraccio sulla porta. 

Ho sussurrato all’orecchio “Ricorda le tue vere priorità. Il tempo va avanti, non torna indietro. Fatti del bene, ascolta te stessa. Regalati per quello spazio desiderato: il lavoro resta lì, non scappa via”.

Si sono commosse.

Entrambe.

Certe frasi arrivano nel momento giusto in cui sei pronta ad ascoltarle, vero?

Che ne pensi di quello che ti ho raccontato?

Mi avresti mandata a quel paese?

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